lunedì 20 luglio 2015

Un nuovo modo di condividere, le interviste...si comincia con Silvana Piatti, grafologa ed esperta della scrittura

Carissimi,

era da tempo che mi riproponevo di fare questo salto di qualità e variare un po' nella linea editoriale di questo blog. 

Finalmente il grande giorno è arrivato. Dopo un lungo lavoro di semina, eccomi qui ad annunciarvi di cosa si tratta e le sorprese che vi riserverò.

Con questo post, infatti, prendono il largo una serie di chiacchierate, interviste, scambi di idee (chiamatele un po' come preferite...) con persone dai più diversi percorsi formativi e le cui attività hanno molto a che fare con la scrittura, la narrazione e la salute.


Insomma, ho provato a dare in pasto quello che è l'insieme delle tematiche di questo blog a persone che credono nell'utilizzo di questi strumenti e ne fanno uso regolarmente nella loro quotidiano, sicuro che mi avrebber restituito dei punti di vista interessanti. E le sorprese non sono mancate...


La prima conversazione che vi ripropongo è quella avuta con Silvana Piatti, grafologa ed esperta di scrittura diplomata presso l'ISFES (Istituto Superiore di Formazione Esperti Scrittura) dove ha studiato psicologia della scrittura e si è specializzata in rieducazione delle disgrafie dell'età evolutiva. 

Pur avendo due background distinti, abbiamo scoperto sin da quando ci siamo conosciuti, su quante cose fossimo in sintonia.

Non voglio togliervi, però, tempo e spazio alla lettura, per cui vi auguro buon proseguimento e arrivederci alla prossima puntata!






Cara Silvana, grazie di aver accettato il mio invito a parlare di scrittura, un argomento che riguarda molto da vicino quella che è l’attività di Fuzzy Project, le idee attorno alle quali questa si sviluppa ed è, nello stesso tempo, un territorio di cui non si conosce bene la complessità.

L'aspetto che spesso sfugge (o è volontariamente ignorato), è la capacità di questo gesto con cui si prende confidenza da piccoli (per poi considerarlo come qualcosa di automatico per il resto della propria vita), di essere lo specchio di ciò che siamo in ciascuna fase della nostra esistenza.

Pensando proprio a questa sfaccettatura, mi torna in mente un breve discorso che facesti durante un evento cui io ho partecipato. Parlasti, infatti, di alcuni legami che l’atto dello scrivere ha con la nostra natura di esseri umani, le nostre reazioni inconsce/istintuali e con il nostro modo di comportarci. 

Avendo una formazione specifica per quanto riguarda la scrittura, cosa hai inteso dire con queste espressioni (che riporto testualmente)?

“la scrittura è un documento psicologico” 

“la scrittura è l’illustrazione di un passaggio interiore, dove i simboli sono i mezzi attraverso cui l’inconscio entra nella sfera della coscienza” 

(citazione di Ania Teillard)

S: La scrittura può essere considerata un “documento psicologico”, in quanto assolve a queste tre fondamentali funzioni:
1.  esprimere un concetto, un’idea;
2.  assolvere ad un’esigenza comunicativa;
3.  rappresentare la personalità di chi l’ha prodotta.

Inoltre, la scrittura è il frutto di un’azione motoria che, una volta appresa ed automatizzata, non richiede più l’attenzione volontaria alla forma, bensì al contenuto. 
Questo suo discostarsi dai modelli ricevuti, porta ad una sua naturale personalizzazione (non esiste una grafia uguale a un’altra, così come ogni individuo è unico nelle sue intrinseche specificità). 
Questo processo, però, è la conseguenza di atti motori consci ed inconsci che passano attraverso la scelta dello stile grafico, della modalità a noi più funzionale. 
Quelli che sono i tratti rappresentativi della nostra base biotipologica (ovvero l’insieme delle caratteristiche somatiche, fisiologiche e psichiche) e delle nostre risposte emotive, invece, sfuggono al nostro controllo razionale.

Prendendo spunto da ciò che hai appena detto, scrivere inteso come atto pratico è una forma di comunicazione con gli altri e, gioco forza, tende ad essere un terreno comune all’interno del quale ci muoviamo con confidenza perché l’abbiamo imparato molto presto per necessità (ad esempio, organizzare i pensieri). Volendo spingersi un po’ oltre, perché si dice che sia un’attività che può anche far bene all’anima?

S: Ogni attività ha un'influenza sul nostro umore, la lettura e la scrittura sicuramente hanno un ruolo fondamentale in questo senso; non solo attivano le nostre facoltà immaginative, ma vanno a stimolare tutte le aree cerebrali coinvolte nel processo di letto-scrittura. Come tu ben saprai avendo studiato neuroscienze, i circuiti nervosi sono come le piante: se sono bagnate, continuano a fiorire (sviluppando sempre nuovi contatti sinaptici), diversamente, pian piano muoiono con conseguenze apparentemente inesistenti, ma in grado condizionare seriamente il nostro modo di vivere.

In questo senso ci tenevo a segnalare quella che sembra essere l’emergenza sociale del momento. Le mie esperienze di lavoro, mi portano sempre più conferme di come la nostra società stia vivendo un progressivo allontanamento dalla scrittura manuale con tutti i problemi che ne derivano per le nuove generazioni. Recenti dati evidenziano, infatti, come le scuole si stanno riempiendo di bambini con disgrafie (problemi di scrittura).

Una delle tante valenze della scrittura è quella terapeutica, sia nei percorsi riabilitativi dei disturbi derivanti da traumi (vedi sopra) sia per il miglioramento di scritture che non rispondano alle esigenze dell’autore della grafia (“non mi piace come scrivo”, “non mi identifico in come scrivo”, “ritengo di scrivere male”, “mi sento a disagio nella comunicazione scritta perché la ritengo inadeguata o illeggibile per gli altri”, etc…)

Ciò che ci differenzia l’uno dall’altro può essere lo stile. Esso, però, dovrebbe essere considerato sia a livello di contenuti sia per la componente estetica, non credi?

S: Scrivere (come atto motorio) fa innegabilmente bene per i motivi che abbiamo elencato prima, ma attenzione al fatto che non vi è alcuna correlazione tra lato contenutistico ed estetico. 
Inteso in senso letterario, ha sicuramente delle valenze che non sono, però, oggetto specifico della materia grafologica. Può rivelarsi sicuramente un modo per esprimere la propria personalità, perché ogni narrazione (sia essa romanzo, testo/opera teatrale, poesia, etc.) contiene sempre qualcosa di autobiografico o in grado di proiettare la personalità di chi l'ha scritto. 
Non a caso, la scrittura è usata come strumento per potenziare la creatività e le altre abilità mentali, ma per comprendere la persona che c’è dietro lo scritto ai fini rieducativi, l'analisi deve riguardare solo ed esclusivamente il gesto non considerando il contenuto.

Da qui nasce un’ulteriore curiosità: le differenze tra una grafia e l’altra come e in cosa rispecchiano quelle tra le persone che le hanno elaborate?

S: Le differenze tra una grafia e l’altra rappresentano proprio l’unicità di ogni individuo, così come non esistono due individui morfologicamente uguali (simili si, perfettamente uguali mai). 
Se per la definizione di personalità, continuamente rivista nel tempo, non esiste una visione univoca in merito, la grafologia può dare una notevole mano all'elaborazione di un profilo di personalità in cui si parte dalla costituzione biotipologica dell’individuo (tipo sanguigno, linfatico, nervoso, bilioso, anche se non ne esiste uno “puro” connotato da un fattore unico, ma da un mix in cui un fattore prevale sull’altro) per poi affiancarvi gli aspetti caratteriali derivanti da ambiente, vissuto, condizionamenti, esperienze, modalità relazionali e di comportamento che la persona ha nell’ambiente in cui vive.

Un’altra serie di considerazioni che hai fatto nel tuo intervento, hanno riguardato il meccanismo fisiologico, ovvero quella serie di attività complesse che portano un impulso che nasce nel cervello ad essere tradotto in un gesto di cui sono protagoniste le mani. Da cosa può essere influenzata l’evoluzione della grafia nella vita di una persona?

S: la scrittura cambia con noi con il passare del tempo, per fattori organici, come conseguenza delle nostre esperienze e delle modalità comportamentali a cui ho accennato prima. Insomma, è una sorta di vera e propria evoluzione, che ci accompagna attraverso le tappe di tutta la nostra vita. 
Solitamente, le variazioni sono graduali, a volte impercettibili per i non addetti ai lavori, e solo a fronte di importanti traumi o fisici o psichici le differenze diventano evidenti. 
Molti aspetti, apparentemente ininfluenti, possono influenzare il gesto grafico: l’ora in cui scriviamo, la temperatura dell’ambiente, le eventuali sostanze assunte e di cui non conosciamo la capacità di alterare il sistema nervoso centrale o, molto più semplicemente, la nostra condizione emotiva.

Possiamo dire che la grafoanalisi permette di scoprire i tratti più esterni della nostra personalità e le ragioni profonde per cui essa può cambiare nel tempo?

S: la grafoanalisi osserva e rileva tali variazioni (la serata a cui hai partecipato serviva proprio a questo e ti assicuro che il risultato che abbiamo avuto e su cui stiamo lavorando con l’intento di produrre una ricerca scientifica attendibile sta dando risultati sorprendenti). 
A volte si può arrivare anche a individuare i motivi di questi cambiamenti ma, come tutti gli strumenti, l'analisi ha e si pone dei limiti. 
Questi ultimi possono essere anche etici, perché l’animo umano deve restare insondabile, le parti più intime devono restare inaccessibili ad ogni sorta di indagine e...meno male che è così!

Le modalità con cui reagiamo agli stimoli esterni viene genericamente detta “agire d’istinto” oppure “seguire il cuore e non la mente”. Come fanno le sensazioni a diventare la guida per affrontare le situazioni difficili facendoci sentire naturalmente pronti a reagire?

S: Noi possediamo una mente razionale ed una emozionale che ci porta a pensare con il cuore, a volte scegliamo con quale operare, a volte no, ma esiste sicuramente una modalità preferita e questa è rilevabile dalla scrittura, può variare a seconda dei contesti e delle motivazioni, che sono poi le vere responsabili delle nostre azioni.

Attraverso quali dinamiche ciò che sperimentiamo e viviamo quotidianamente lascia una traccia dentro di noi per poi manifestarsi nei gesti e nelle parole dette e/o scritte?

S: La soglia di ricezione agli stimoli è diversa per ciascuno di noi. Parlando di percezioni entrano in gioco le funzioni Junghiane (Sensazione, Sentimento, Pensiero, Intuizione) e, come per la biotipologia di base, non esiste un individuo connotato da una tendenza a rappresentarsi la realtà con una sola funzione, ma attraverso un mix in cui ci sarà una funzione dominante e le altre in appoggio. 
Più un individuo utilizza tali funzioni in modo combinato e variato e più presenterà modalità psichiche differenziate, una personalità ben integrata e si rivelerà un soggetto capace di operare nelle diverse contingenze.


In sintesi, stabilire come le dinamiche delle esperienze e del vissuto lascino tracce dentro di noi riporta a quanto appena detto nella risposta precedente. Ogni individuo è una storia a sé, come ogni vita è diversa da un’altra…

Ho una formazione da biologo e, come hai ricordato tu prima, ho studiato neuroscienze per cui so bene quanto le dinamiche comportamentali di cui abbiamo parlato potrebbero far sembrare che il nostro cervello si comporti come quello di un animale. Migliaia di anni fa esisteva solo un cervello arcaico che agiva in modo emozionale e istintivo. In seguito, l’evoluzione lo ha reso più complesso aggiungendo grazie alla quale sono state acquisite la parola e la scrittura. 
Nello specifico, quanto è stata importante la parola e come la scriviamo nel rappresentare ciò che proviamo per innescare questo percorso evolutivo?

S: Il cervello è anatomicamente uguale in tutti gli esseri umani ma nessuno lo utilizza nello stesso modo e questo le neuroscienze ben lo spiegano e lo hanno dimostrato.
La parola e il modo di usarla (sia nel contenuto sia nella forma) è quindi il frutto di un lungo processo evolutivo; se migliaia di anni fa le emozioni primarie come la paura o la rabbia erano sufficienti all’uomo per la propria sopravvivenza, con il tempo è stato indispensabile maturarne altre.

Emozioni ed abilità cognitive vanno di pari passo, tanto che oggi è universalmente riconosciuto come sia importante possedere quella che viene definita intelligenza emotiva (o sociale o relazionale per chi vuole definirla in altro modo), una tipologia di intelligenza che fino a poco tempo fa non veniva nemmeno presa in considerazione,   esattamente come non veniva, nella scienza eccelsa per definizione (la medicina), preso in considerazione il valore delle emozioni.


Oggi l’approccio è cambiato, forse non ancora per tutti, ma il nostro compito (visto la passione che condividiamo per tali argomenti) è proprio quello di spingere questa nuova visione di come si debba guardare all’uomo.

Non solo come una macchina perfetta fatta di organi, ma come una complessa struttura in cui interagiscono fra loro organi, emozioni, mediatori chimici, vivenze passate, esperienziali, memorie storiche e personali.



Oltre a fare a Silvana Piatti i miei più sinceri ringraziamenti per aver preso parte a questa intensa chiacchierata, non mi sento di aggiungere altro alle sue parole finali e chiuderei con quest'auspicio: che il prendersi cura della nostra salute rimanga sul piano della complessità di cui lei parla, senza che si cada vittime di eccessive attenzioni per il particolare.

Alla prossima!

Andrea