lunedì 17 novembre 2014

Il pensiero e la parola possono far ammalare, dare sollievo se non addirittura guarire!


Cari amici,

oggi ho avuto il piacere di leggere un'intensa e coinvolgente intervista fatta al Prof. Enzo Soresi, dalla quale ho avuto un'ulteriore conferma di quali siano e quanto affascinanti possano essere i meccanismi che permettono a parole e suggestioni di avere un potere terapeutico.

Per spiegarvi brevemente chi lui sia come persona e per rendere l'idea delle idee che porta avanti, preferisco affiancare all'inevitabile lista di qualifiche accademiche e professionali, le sue stesse parole.

Nella realtà, siamo di fronte ad un tisiologo, anatomopatologo e oncologo, primario emerito di pneumologia al Niguarda di Milano, ma questa non è che solo una parte di un uomo che, dentro di sé, "Si considera un tuttologo, al massimo un buon internista, che ha scoperto l’importanza della neurobiologia studiando il microcitoma" (un tumore polmonare di a componente neuroendocrina).

Dalle parole dell'articolo che vi consiglio di leggere, sebbene riporti numerosi approfondimenti scientifici (solo in apparenza di difficile comprensione), l'aspetto veramente interessante che emerge, è stata l'immensa curiosità che ha spinto questa persona a osservare, sperimentare e imparare in modo costante, durante l'esercizio quotidiano della professione così come quando ha smesso di frequentare ambulatori ed ospedali. 

Prova ne é il suo essere profondamente convinto che: «[...] la medicina non è una vera scienza. Tuttalpiù una scienza in progress»

Nei dieci anni di intenso e insaziabile studio cui si è dedicato da quando ha terminato di esercitare, la sua missione è stata quella di comprendere le ragioni per cui il cervello possa avere un ruolo efficace sull'innesco, attenuazione o soppressione delle patologie. 

Al contrario di quella che è la tendenza della medicina moderna, la quale tende ad analizzare in modo separato i malfunzionamenti del nostro organismo perdendone la visione d'insieme, Soresi propende, infatti, per un'ipotesi che vede la nostra salute dipendere da un network formato da sistema endocrino, sistema immunitario e sistema nervoso centrale. 

Non a caso, la strada che personaggi come lui stanno percorrendo da anni, è quella di un ritorno alla medicina integrata, una delle cui ultime sfide «si chiama Pnei, psiconeuroendocrinoimmunologia, una nuova grande scienza, trascurata dalla medicina perché nessuno è in grado di quantificare quanti neurotrasmettitori vengano liberati da un’emozione.»

Come dice lui stesso, il sistema immunitario «...ci difende e ci organizza la vita. Di più: ci tollera.» la cellula che può essere presa a riferimento del suo coinvolgimento su più livelli «...è il linfocita, un particolare tipo di globulo bianco che risponde agli attacchi dei virus creando anticorpi. [...]», ma che è in grado di «...produrre ormoni cerebrali.» in seguito agli shock emotivi a cui ci riferivamo prima.

Per capire quale sia il legame tra emozione e rilascio di neurotrasmettitori ed ormoni senza addentrarsi in questioni troppo scientifiche, basta tenere conto di una sostanziale differenza che esiste tra il grado di sviluppo del cervello e quello degli altri organi o apparati al momento della nascita.

Infatti, ci stiamo riferendo ad un organo che non risulta completamente definito e vede il termine di questo processo solo con il raggiungimento dei terzo anno d'età. 

Il meccanismo prevede, nella pratica, un processo di selezione naturale delle cellule che lo andranno a comporre, ma, aspetto sicuramente di maggior interesse nell'ottica del nostro discorso, è stata la scoperta una strettissima correlazione tra ciò e i forti condizionamenti che possono venire dall'ambiente esterno, inclusi anche i genitori.

Un discorso simile, solo in quanto a tempi e modi si sviluppo però, vale per le nostre difese immunitarie che vedono una prima fase di acquisizioen della competenza che inizia a livello della vita intrauterina, per poi completarsi quando l'individuo entra a contatto con il mondo esterno. 

L'attività che lo accomuna e unisce al cervello nel decretare il potenziale e la capacità di reagire nelle situazioni critiche, è la secrezione da parte di entrambi delle molecole segnale per definizione: le citochine (4 interferoni che aiutano le cellule a resistere agli attacchi di virus, batteri, tumori e parassiti, e 39 interleuchine, ognuna con una funzione specifica)

Non c'è quindi da stupirsi se Ippocrate aveva già definito il cervello come una ghiandola "mammaria" poiché affianca altri ruoli oltre a quella endocrina che lo vede produrre, di default, i neurotrasmettitori cerebrali serotonina, dopamina e le endorfine

Semplificando un po', «se sono allegro e creativo libero citochine che mi fanno bene, se sono arrabbiato e abulico mi bombardo di citochine infiamamtorie» che creano dei danni gratuiti all'organismo. Ecco il motivo per cui un approccio alla cura che comprenda l'ascolto delle emozioni del paziente o voglia anche solo spendere del tempo per comprenderne la sensibiltà, avrà nelle emozioni positive che saprà dargli un potente alleato per farlo stare meglio.



Nel caso vogliate ascoltare direttamente dalle parole del Dott. Soresi ulteriori approfondimenti rigurado alle quastioni e ai meccanismi scientifici di cui ho parlato nel post vi invito a guardare il video e a comprare due dei testi da lui scritti di recente:
Il cervello anarchico, 2013, UTET; di Enzo Soresi (con prefazione di umberto Galimberti) 
Guarire con la nuova medicina integrata, 2012, Sperling & Kupfer; di Enzo Soresi, Pierangelo Garzia e Edoardo Rosati 

Andrea

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